Padre nobile
Ci sono persone che, senza essere dei leader politici, ma grazie al loro “pensare” sanno produrre cambiamenti e contribuire ad influenzare positivamente non solo il loro mondo di appartenenza, ma anche i “luoghi” dove la loro attività è punto di riferimento.
A volte, in modo errato, si pensa che solo l’impegno politico possa determinare mutamenti nella storia di un Paese.
I cambiamenti, viceversa, si producono anche e forse soprattutto, attraverso la capacità di socializzare le idee e di trasformarle in fatti concreti.
Quest’anno ricorrono i cento anni dalla nascita di un personaggio, oggi ai più sconosciuto e forse presto dimenticato che, a detta di Luigi Pedrazzi “per carattere, cultura, frequentazione assidua dei cattolici democratici più indipendenti, personalmente intransigente fino a ostentare una sua vicinanza al “misticismo” di tradizioni spirituali rigorose, la prudenza “curiale” era effettivamente assai modesta. Il gusto dell’analisi culturale spregiudicata e delle sintesi incisive lo portavano a sfidare i “poteri forti massonici”, ma non indulgeva neppure a compromessi e cortesie con le “curie” burocratiche o neotemporalistiche “. Dunque, un personaggio che ha saputo parlare a molti cattolici, a molti laici quando questi avevano qualcosa da dire, ma anche ai molti che stavano dall’altra parte della sua “barricata” politica nel corso della sua vita.
Sto parlando di Achille Ardigò, uno dei padri nobili della sociologia italiana.
Ardigò nasce a San Daniele del Friuli il primo marzo del 1921. Nel 37/38 ( anno scolastico ) si diploma al magistrale presso il Regina Elena di Modena, scelta questa dettata dalle ristrettezze economiche della famiglia e quindi dalla necessità di avere un titolo immediatamente spendibile.
Conseguita la maturità magistrale può solo iscriversi alla Facoltà di Magistero, Università di Firenze, ma non sostiene nessun esame perchè impegnato a preparare la maturità classica da privatista che consegue nel luglio del 39′.
Può così iscriversi a Lettere e Filosofia dell’Università di Bologna, dove, in 3 anni sostiene tutti gli esami e si laurea.
Negli anni universitari comincia una intensa attività di pubblicista sulla rivista, spesse volte censurata dal regime fascista, “Architrave” foglio che si contrapponeva al mondo GUF di Bologna.
Con l’8 settembre 1943 entra nella Resistenza con due suoi fratelli militando nella VI Brigata Giacomo.
Tra il 44 e il 45 scrive su “La Punta” giornale dei giovani cattolici della Resistenza di Bologna ( sottotitolo alla rivista “organo della gioventù democratica cristiana” ) e sarà proprio questo foglio tra i primi a dare la notizia del tragico eccidio di Marzabotto.
Con la liberazione Ardigò vive pienamente la possibilità di sperimentare impegno religioso, azione politica e elaborazione scientifica e culturale.
Collabora come giornalista professionista con “L’Avvenire d’Italia”, uno dei principali quotidiani cattolici di allora, partecipa ai convegni di Faenza della DC ed entra nel Consiglio Nazionale della nascente forza di maggioranza.
Nel 47 è tra i fondatori di “Cronache Sociali” la rivista della corrente dossettiana nella DC e luogo di confronto tra intellettuali cattolici di varie provenienze come Fanfani, Dossetti, La Pira, Lazzati, i c.d. “professorini” tanto per citare alcuni tra i più noti dell’epoca.
Sulla rivista del gruppo, Ardigò, pubblica contributi che spaziano su più campi. Dalla politica interna e internazionale al piano Marshall, dalle esperienze laburiste nel Regno Unito alle elezioni in Emilia Romagna o alla natura del Patto Atlantico.
Negli anni 50 è a lavorare prima nell’Ufficio Stampa dell’Ente Maremmano e Fucino e poi è dirottato al Ministero dell’Agricoltura con compiti di studio per valutare gli effetti della riforma agraria e qui, proprio per effetto dei suoi studi approfondisce sistematicamente la sua conoscenza su tutto il mondo rurale italiano in quegli anni in grande trasformazione.
Sempre in quel periodo incomincia ad allargare i suoi interessi e i suoi studi al di là della sociologia rurale. Così collabora con il “Centro Nazionale di Prevenzione e Difesa Sociale” di Milano che gli consente e gli permette di allargare il suo orizzonte nel mondo della ricerca sociologica internazionale venendo in contatto con i grandi studiosi della materia Wright Mills, Parsons, Merton, Ossowski.
Nel 55 è chiamato da Dossetti a Bologna per partecipare alla campagna elettorale contro Giuseppe Dozza per la carica di Sindaco della città.
Dossetti, anche con l’aiuto di Ardigò, fa una campagna elettorale innovativa, pubblicando il “Libro bianco su Bologna” per “conoscere per deliberare” e per “identificare linee per la formulazione di un programma annuale di attività comunali”.
La sconfitta contro un pezzo da novanta come Dozza, sempre riconfermato con maggioranze larghissime dalla liberazione, è pesante, ma la maggioranza comunista prende proprio dal libro bianco le proposte sul decentramento amministrativo e la partecipazione elaborate proprio da Ardigò e nel 64 costituirà, prima in Italia, i 15 quartieri di Bologna in cui, appunto, esercitare il primo esempio di decentramento amministrativo in una città.
Gli anni sessanta lo vedono allargare i suo interessi e i suoi studi dirottandoli verso la sociologia della famiglia e verso la sociologia dell’educazione, due aree specifiche dei suoi studi che lo porteranno presto a tenere corsi alla neonata Facoltà di Sociologia di Trento.
Negli anni sessanta cambia il clima politico. Alla segreteria DC arriva Aldo Moro con le sue aperture ai socialisti e quindi con l’idea di un centro-sinistra in sostituzione della ormai logora formula del centrismo. Così vediamo Ardigò che riprende il suo “impegno” politico e a lui è affidata, al primo convegno di San Pellegrino ( 13 – 16 settembre 1961 ) la relazione che si prefigge di ricomporre la “degasperiana democrazia formale con la dossettiana democrazia sostanziale”.
Sempre negli anni sessanta Ardigò riceve dall’Università di Bologna, finalmente, l’incarico di insegnamento di sociologia nella Facoltà di Magistero e nel 64 sempre in quella Facoltà verrà promossa la costituzione dell’Istituto di Sociologia.
Ma la vera svolta, se così si può dire, anche in ragione di un percorso innovativo rispetto ad una tradizione ancora legata alla visione fascista, è quando l’Ateneo decide di promuovere la costituzione della Facoltà di Scienze Politiche.
I primi cattedrattici sono Bagolini, Matteucci, Andreatta e nel 67 con il primo consiglio di Facoltà si inserisce proprio anche Ardigò che, nel frattempo, ha vinto il concorso di sociologia.
La Facoltà di Scienze Politiche dell’Università di Bologna anche sulla spinta di Ardigò nasce su di un impianto innovativo e di rottura con la tradizione del passato che vedeva la stessa come una propaggine di giurisprudenza atta al più a fornire unicamente quadri alla P.A.
L’autorevolezza anche internazionale dei quattro promotori fa si che questa tradizione venga abbandonata e il modello formativo, poi accolto dal Ministero prevede un biennio comune e un secondo biennio specialistico con 4 indirizzi: storico-politico, economico-politico, politico-amministrativo e politico-sociale.
Nel 73 Ardigò abbandona la DC dimettendosi dal Consiglio Nazionale.
Nel 75 con Scoppola e Gorrieri fonda la “Lega Democratica”, formazione cattolica di ridottissima dimensione, ma di notevole influenza culturale.
Ma anche qui, l’animo inquieto di Ardigò lo porta a confliggere spesso con gli altri due fondatori, in particolare con Scoppola che crede ancora alla possibile riformabilità del partito cattolico. Ardigò è ormai scettico. Lo è sui partiti in generale e sulla DC in particolare e vuole rivolgere il suo sguardo di impegno ad un lavoro di formazione politica e di risveglio partecipativo rivolto essenzialmente alla società civile.
Nel 76 entra a far parte del CNEL. Nel 77 il suo impegno di studioso è tutto rivolto al disegno istitutivo del SSN e proprio a seguito di questo impegno promuove all’interno dell’Istituto di Sociologia un gruppo di Sociologia della Salute.
Scrivono, al riguardo Sciortino e Zurla “ Nel corso degli anni 70, la produzione sociologica di Ardigò conosce un cambiamento rilevante che manifesta un’insoddisfazione crescente sia verso l’impostazione complessiva della teoria sociologica internazionale, sia verso le interpretazioni prevalenti delle tendenze sociali delle società sviluppate e in particolare dell’Italia.”
E’, di fatto, il percorso che porterà il sociologo cattolico alla pubblicazione, nel 76 di “Classi sociali e strati nel mutamento culturale” e nell’80 a “Crisi di governabilità e mondi vitali”.
In estrema sintesi, la tesi che Ardigò persegue e che porterà poi alla due pubblicazioni è sostanzialmente che lo sviluppo della società contemporanea richiede, per essere perseguito con risultati proficui, che vi sia una crescente autonomia del sociale, il rafforzamento delle capacità progettuali, sempre del sociale, ed in ultima istanza la partecipazione dei corpi intermedi.
Ma Ardigò è oltremodo critico, in questa sua elaborazione, non solo delle teorie sociologiche dominante ( in primis quelle marxiste ), ma anche rispetto alle mobilitazioni collettive di tutti gli anni 70.
In questa fase di elaborazione teorica Ardigò è “aiutato” dalla sua riscoperta di un autore classico della sociologia cattolica e spesso anch’esso dimenticato, il Toniolo.
Ardigò nel Toniolo vede, in quegli anni, l’attualità del primato della riforma sociale rispetto alla predominanza di una riforma politica e, di conseguenza, la necessità di ripartire dalla società civile.
Questi sono i temi che poi lo caratterizzeranno negli anni addivenire: la politica sociale e il welfare.
Dove il nodo centrale è che nei paesi sviluppati risiedono difficoltà che sono da porre in capo alla perdita di senso che ha, di fatto, accompagnato la rottura degli stili di vita tradizionali, ma, al contrario dei pensatori “conservatori”, Ardigò sostiene che la produzione di senso resta possibile grazie alla dimensione creativa presente nelle interazioni faccia a faccia e nelle relazioni personali.
Con “Crisi di governabilità e mondi vitali” Ardigò sottolinea la crisi delle capacità interpretative del riformismo classico, ma anche i limiti dell’emergente neoliberismo che si incomincia a intravvedere.
Nel 1983 è tra i promotori dell’Associazione Italiana di Sociologia (AIS), che riunisce le tre componenti della sociologia italiana, quella laica, quella cattolica e quella “terza” di Gianni Statera.
Dalla metà degli anni 80 incomincia ad interessarsi a sviluppare ricerca in relazione al potenziale trasformativo delle ICT e al ritardo, tuttavia, della sociologia.
Così nel 1988 abbiamo “Per una sociologia oltre il post-moderno”. Nel 93 si avvicina ad una nuova esperienza politica quella dei cristiano sociali promossa da Gorrieri e Pier Carniti.
Critico col mondo politico, ma anche con la Chiesa, solo alla sua morte si scoprì che aveva preso i voti, da molto tempo, nel terzo ordine francescano.
“Ancora nel 2005, una sua intervista a “Il Dialogo” fece notevole scalpore. Ardigò parlava infatti di un “inverno della Chiesa” prodotto da una lettura normalizzante del Concilio Vaticano II e da una teologia razionalizzante che indeboliva il senso dell’incontro del sacro e marginalizzava il ruolo dei laici nella vita ecclesiale” (Sciortino e Zurla ).
Muore il 10 settembre del 2008 a 87 anni a Bologna.
Ad Ardigò diverse generazioni di studiosi debbono riconoscenza. Forse, come qualcuno ha suggerito, non ha saputo dare una particolare sistematicità e metodo di ricerca, ma le sue intuizioni hanno certamente consentito di aprire dei nuovi filoni di indagine e studio che ancora oggi, sia pure ad una certa distanza, presentano stimoli e visione che lo rendono ancora attuale.
Sul versante del mondo cattolico e di chi ha militato nella DC Ardigò ha rappresentato la storia di un passato fortemente ideale e pregnante della voglia di un cambiamento riformista che negli anni cinquanta e sessanta i cattolici impegnati in politica sembravano incarnare e in grado di tradurre in azioni concrete.
I suoi studi sulla sanità, sul wlefare, sul terzo settore sono, dopotutto, elemento di raccordo ancora oggi con una stagione di cambiamenti che si voleva non burocratici, ma innovativi nel produrre mutamenti, nel cercare di rispondere al meglio a quello che la gente voleva, ma, nello stesso tempo anche nella ricerca di strumenti di partecipazione presto, forse troppo presto messi in discussione. Certamente non è stato un personaggio facile come dimostrano i diversi campi in cui si è cimentato e il diverso approccio anche alla politica.
Certamente il suo disagio verso il partito cattolico è stato sincero. Lui lo voleva fortemente progressista e forse, grazie anche ai suoi rapporti di stima reciproca con alcuni leader, in alcuni momenti della sua vita, è riuscito a farsi ascoltare e portare avanti, grazie alla Balena Bianca, alcune delle sue intuizioni e delle sue idee più innovative.
Cosa ci lascia in eredità Ardigò oggi? Direi molto. Ci lascia un pensiero di una sociologia personale. Ci lascia delle analisi, soprattutto in relazione alla composizione della società che, ancora oggi, sono utili a comprendere il nostro attuale. Ci lascia anche l’esempio di un uomo di fede, di una fede forte e sincera, ma mai “curiale”, né tentato dal temporalismo o da un qualsiasi senso di minorità di fronte al laicismo e al pensiero egemone negli ambienti universitari.
Insomma, Ardigò appartiene a quella schiera di pensatori cattolici con la schiena diritta che molto hanno speso della loro vita alla ricerca di soluzioni capaci di comprendere, proporre e realizzare cambiamenti anche alla luce della fede e per questa fede e per questo loro modo di essere, oggi, forse, sono per lo più dimenticati o relegati agli studiosi delle loro materie. Ardigò rappresenta una stagione, una stagione forse formatasi anche grazie alla Resistenza capace di essere protagonista, prima nel pensare e poi nell’azione. E questo è forse quello che oggi manca di più al nostro mondo cattolico italiano.
Roberto Molinari
( www.rmfonline.it del 23 luglio 2021 )