CRISI CHE VIENE DA LONTANO
Siamo un Paese strano. Il Governo Draghi e il suo Premier ancora oggi nelle rilevazioni hanno indici di consenso alti. Eppure il 36% degli italiani non ha partecipato al voto, il 26% ha votato il partito che era all’opposizione e un altro 15% ha votato chi gli ha fatto credere di non essere mai stato in maggioranza in questa legislatura (Conte 1, Conte 2 e governo Draghi). Altra stranezza. La Lega di Salvini ha perso milioni di voti scendendo all’8% circa, ma il Capitano è saldamente riconfermato dal consiglio federale del suo movimento. I 5stelle cadono dal 35% di cinque anni fa al 15% di oggi, si qualificano come una sorta di lega del sud ancorata al reddito di cittadinanza, cedono tantissimi voti alla destra della Meloni, ma il loro risultato è giudicato un successo. Il PD ha perso 800 mila voti (rispetto al 2018) e tutta la stampa si scatena contro ed anzi si apre un dibattito nazionale se il partito deve cambiare nome, simbolo o se, addirittura si deve sciogliere (l’immaginifica Bindi).
Innanzitutto non si può addossare a Letta tutte le responsabilità del risultato. Certo di sconfitta bisogna parlare e ben ha fatto egli ad aprire al congresso e a dire che non si ripresenterà. Ma Letta è stato chiamato un anno e mezzo fa a governare il PD dopo che un segretario, a cui va la solidarietà umana, ma non politica, aveva abbandonato la nave dalla sera alla mattina lasciando in braghe di tela centinaia di generosi militanti. Dunque, la responsabilità della sconfitta è di tutta una classe dirigente nazionale. Ma veniamo a quelle che ritengo le ragioni di una sconfitta. Il PD paga il fatto di essere stato al governo del Paese quasi sempre in questi anni, senza aver mai vinto una elezione dalla sua fondazione. Non è che si sia andati al governo con un colpo di mano, sono le vicende politiche che hanno portato a questo, ma negli elettori ciò ha ingenerato l’opinione che il PD è essenzialmente il partito dell’establishment, dei poteri economici che hanno bisogno di stabilità e di buoni rapporti con Bruxelles, un legame, quest’ultimo, che a molti fa pensare che l’Italia non sia sufficientemente forte su quel tavolo e che, in tempi di speculazione, rende incomprensibile e inaccettabile l’opposizione olandese e tedesca alla esigenza di un tetto al costo del gas.
Altro aspetto. Il PD è spesso definito come il partito della ZTL intendendo questo come il fatto che i democratici prendono i voti da un ceto medio benestante, laureato e urbanizzato e hanno perso la dimensione popolare e l’attenzione alle periferie. Vero in parte. Ma la percezione delle persone va in questa direzione. Aver impostato gli ultimi anni e tutta la campagna elettorale sul tema dei diritti individuali quando il Paese chiede tutela, protezione e sicurezza di fronte alla crisi economica post pandemica, alla guerra e ai costi esorbitanti attuali di corrente elettrica e gas, ha fatto sì che le proposte di sostegno ai ceti meno abbienti venissero messe in secondo piano e che si ingenerasse la sensazione di essere di fronte ad un partito distante dalla realtà e dai bisogni. Così il PD si è caratterizzato come una sorta di partito “radicale di massa” perdendo di empatia con i ceti popolari.
Insomma, abbiamo lasciato la rappresentanza della sofferenza ai “populisti” di destra e di sinistra, soprattutto, abbiamo lasciato ai 5stelle i ceti popolari del sud, ma non solo, visto che, anche dalle nostre parti, il movimento di Conte ha preso il 6% il che non può essere solo spiegato col reddito di cittadinanza.
In ultima istanza, terzo errore collettivo di una classe dirigente ferma ad una legge elettorale “feudale” che promuove il fedele e non il meritevole, il PD ha delegato ad “altri” la rappresentanza di parte degli elettori moderati che sono fuggiti verso Calenda/Renzi.
Il prossimo congresso non dovrà partire dal nome di chi sarà il segretario, anzi è auspicabile che ora si fermi la pletora di auto candidature, che non parta dall’idea del cambio di nome, di simbolo o di scioglimento, palese evidenza di un distacco dai problemi reali della gente e che non ci si arroti nel dibattito andiamo con i 5stelle o con Calenda/Renzi, “il dimmi con chi vai e ti dirò chi sei”. Il PD merita di più di essere un partito degli eletti per altro con scarsa legittimazione visto la legge elettorale che sforna solo legittimi nominati. Il PD merita una discussione seria capace di ridefinire il proprio ruolo storico nel XXI secolo, problema quest’ultimo che ci accomuna a tutti i partiti di sinistra del mondo occidentale, merita di avere una franca discussione capace di definire chi si è, chi si vuol rappresentare, che ci si interroghi sul perché dal 2008 ad oggi abbiamo perso, con l’ultima tornata, ben 7 milioni di elettori e come fare a recuperare quelli ceduti di recente a Conte da una parte e a Calenda/Renzi dall’altra e come si voglia costruire un progetto per l’intero Paese. E questo senza cercare un inutile capro espiatorio.
Roberto Molinari, Direzione provinciale PD Varese
( pubblicato su www.rmfonline.it del 7 ottobre 2022 )