MASSIMALISTI, RIFORMISTI

MASSIMALISTI, RIFORMISTI

La battuta che mi viene più facile in questo momento è pensare che con tutti quelli che spiegano al PD come e perché si sono perse le elezioni, oggi dovremmo essere quanto meno al 40% e governare per i prossimi cinque anni.

Premesso ciò, vorrei partire da una ipotesi di fanta-politica, ma non troppo. Oggi, e questo dovrebbe anche farci riflettere su quanto si muove intorno al PD, i democratici hanno due avversari dichiarati che, ovviamente, si aggiungono a quanti ne vogliono lo scioglimento.

Si tratta di Conte e i Cinquestelle da una parte, e dall’altra dell’aggregato Azione/Italia Viva e cioè Calenda e Renzi. Quale è la loro idea? Portare al collasso i democratici, spolparli e spartirsi gli elettori. Immaginiamo che questo possa succedere. Come sarebbe a questo punto il quadro politico così trasformato?

Da un lato avremo una sinistra populista, una volta si sarebbe definita massimalista, condannata per i prossimi 30 o 40 anni a stare all’opposizione di un centrodestra a trazione destra destra; dall’altra parte, invece, avremo una formazione neo centrista (Azione/ Italia Viva) che, non potendosi alleare con i Cinquestelle massimalisti e populisti, sarebbe condannata anch’essa all’opposizione irrilevante o, a seconda di chi la guida, a schierarsi con il centrodestra nella convinzione di poter essere condizionante facendo la minoranza della maggioranza.

E ora, dopo la fanta-politica, un ragionamento. Alcuni amici mi hanno sottoposto una suggestione storica. Immaginare per la rifondazione del PD una nuova Bad Godesberg o una sorta di congresso di Epiney. Per chi non fosse avvezzo, Bad Godesberg ha rappresentato l’abbandono del marxismo oltre che della lotta di classe per la SPD tedesca, mentre Epiney la scalata di Mitterand al PS francese e l’unità nel PS di tutte le sinistre tranne quella comunista, scalata che lo portò, poi, dieci anni dopo alla presidenza della Repubblica.

Perché non sono d’accordo a questo richiamo così suggestivo? Perché siamo in un momento storico diverso rispetto a quelle esperienze, perché l’Italia ha una storia politica diversa e più complessa e perché quegli eventi sono tutti interni della sinistra storica, una sinistra che oggi non c’è più rispetto ai presupposti.

Il PD, certamente non senza errori, è nato per il superamento, non la negazione, di storie politiche ormai esauste. È nato nel 2007 rispondendo all’esperienza fallimentare dell’ “Unione” dell’ultimo governo Prodi e alla necessità di costruire una proposta politica nuova capace anche di andare al di là delle culture politiche europee. Quanto di questo si sia riusciti a realizzare è sotto gli occhi di tutti. Più che il “partito nuovo” ha prevalso il partito “responsabile” obbligato per anni ad assumersi compiti al di là del risultato elettorale.

Ora i democratici si trovano innanzi ad una svolta. Intorno al PD in questi 15 anni di vita molte cose sono cambiate. Molte vanno ripensate a partire dall’identità che deve essere non statica, ma aderente alla realtà che muta e che cambia. Ma molte cose devono anche cambiare sul piano organizzativo.

C’è ad esempio da interrogarsi su quanto può avere senso una organizzazione territoriale tradizionale e come questa possa essere in un contesto che ha visto premiare essenzialmente il voto di opinione e la comunicazione e tutto in netto contrasto con il radicamento.

Sembra cioè che ci si trovi dinanzi a meno spazi fisici e reali e più, invece, a luoghi privi di radicamento, ma pervasi di sola volatile opinione e questo anche grazie alla complicità di una legge elettorale che ha distrutto la rappresentanza territoriale.

Un mio “maestro” amava sottolineare che i processi organizzativi devono essere anticipati da un pensiero politico, altrimenti si va verso il disastro. Ecco, forse il limite maggiore dell’esperienza di questi anni del PD è stato proprio questo. Essersi concentrati sugli aspetti organizzativi senza aver prima saputo elaborare un “nuovo pensiero politico”.

Roberto Molinari

( pubblicato da www.rmfonline.it del 14 ottobre 2022 )