PIU’ PAROLE CHE FATTI

PIU’ PAROLE CHE FATTI

Ormai è passato poco più di un anno dall’insediamento del primo governo di destra centro nel nostro Paese e quindi è il momento di trarre qualche riflessione.

Faccio due premesse. La prima: esso si è presentato agli italiani con l’intento dichiarato di rassicurarli rappresentando a loro un orizzonte da partito conservatore europeo.

Seconda premessa. La Meloni ha lavorato molto in questo primo anno per darsi un profilo internazionale fortemente occidentale, in particolare nei tavoli europei, cercando di far dimenticare i suoi rapporti con i sovranisti, sostenendo l’Alleanza Atlantica e gli USA nella guerra ucraina e più recentemente dichiarandosi senza se e senza ma con Israele dopo la strage di Hamas del 7 ottobre.

Vorrei iniziare la mia riflessione facendo riferimento all’ultimo evento parlamentare e non dalla legge finanziaria. La bocciatura del MES in sede parlamentare è un fatto politicamente rilevante. Innanzitutto mette in luce una spaccatura all’interno del governo, infatti Forza Italia si è astenuta mentre sono risorti i rigurgiti sovranisti di Salvini e di FdI, il partito della Meloni. Inoltre, questo scarica barile sul Parlamento, pone, visto anche che siamo l’unico Paese in Europa a non aver ratificato il trattato, un problema di credibilità e autorevolezza ai tavoli europei a cui tiene tanto la nostra underdog.

Questo primo anno di governo Meloni più che distinguersi per le cose fatte e le riforme è stato fortemente caratterizzato dalla retorica riguardante la presidente del Consiglio che si è rappresentata come una donna che ce l’ha fatta da sola contro tutto e tutti e dalla retorica dei diversi “fratelli” che non perdono occasione per magnificare le sorti degli interventi governativi.

La realtà a me pare abbastanza diversa. Non commento il tema underdog visto che la nostra è stata giovanissima ministra del governo Berlusconi (nel 2008 a 31 anni e a 29 nel 2006 era già deputata) quello stesso governo che approvò il primo trattato MES e che i suoi e lei contestano ad altri come responsabilità, sintomo evidente di come si punti molto sulla scarsa memoria degli italiani. La premier puntualmente cede al richiamo irresistibile della sua foresta, fatta non solo dagli atteggiamenti piccati con cui spesso risponde in sede parlamentare alle opposizioni il che denota una certa incapacità a sopportare le critiche; ma fatta anche di presunto decisionismo, di autoritarismo di politiche simil Orban più che di scelte conservatrici.

E la stessa presunta e confusa riforma costituzionale che sembra più scritta da analfabeti (costituzionali) che da esperti appare oggi, più che mai, una sorta di arma di distrazione di massa rispetto ai reali e non affrontati (anche nella Finanziaria) problemi che riguardano il Paese.

La narrazione poi che lei sia brava, anzi bravissima, e i suoi collaboratori non all’altezza, nasconde il fatto che se uno sbaglia a scegliere i collaboratori qualche responsabilità ce l’ha e non è che ci si può sempre nascondere dietro alla retorica per promuovere i fedelissimi o i parenti. Vedasi il cognato Lollobrigida, gaffeur a ripetizione, vedi le intemerate uscite dei vari Donzelli e Dalmastro e dei molti “miracolati” tra deputati e senatori di questa straordinaria tornata a destra, non ultima la senatrice Mennuni, quella per cui la missione delle donne è fare figli, banalizzazione estrema del problema dell’inverno demografico. Per non dire poi del caso Pozzolo, il pistolero di fine ’23.

La cultura politica di cui si ammanta questa destra è sempre la stessa degli ultimi cento anni. Nulla di nuovo. L’uomo o la donna sola al comando, la leadership carismatica, il leader che parla col popolo direttamente, il nazionalismo che si trasforma nell’attuale sovranismo, ma che scade nel provincialismo, vedi gli attacchi all’Europa.

In ultimo, così per chiudere il cerchio, la prima Finanziaria di epoca Meloni non fa altro che sposare le proprie lobby e centri di interessi contigui alla destra. Favorisce i suoi ceti elettorali, dichiara di promuovere e sostenere la famiglia e incentivare a fare figli, cosa alquanto dubbia e soprattutto con “soluzioni” posticce e di scarsa attinenza ai bisogni reali. Colpevolizza la povertà. Sostiene la diminuzione della pressione fiscale facendo interventi solo della durata di un anno e finanziando il tutto a debito (circa 14 miliardi che chissà dove saranno trovati nei prossimi anni). Insomma, forse ha ragione chi dice che dopo le europee ci aspetta una manovra correttiva da 18 miliardi.

E forse ha ancora più ragione chi dice e prevede che, dopo la narrazione e la retorica, se non ci sono i fatti le leadership si sgonfiano così come è accaduto ad altri nel recente passato. Così come è ancora più vero che, se non esiste proposta alternativa credibile, il Governo Meloni è destinato a durate e a fare danni.

Roberto Molinari ( pubblicato il 12 gennaio 2024 su www.rmfonline.it )